Sulla
legge 30 serve una svolta
Alfonso
Gianni - sottosegretario allo
Sviluppo Economico
Il
contrasto evidente che si sta sviluppando fra il Ministro Damiano e
l'ispettorato del Lavoro sulla vicenda dell'esito delle ispezioni all'Atesia,
può avere due sbocchi. Uno negativo, cioè la paralisi di qualunque capacità
innovativa da parte del governo sul mercato del lavoro, malgrado gli espliciti
impegni programmatici (e non sarebbe il solo arretramento visto il confronto,
pessimo su entrambi i versanti, fra il ministro Padoa Schioppa e l'economista
Francesco Giavazzi sulla finanziaria). Uno positivo, cioè quello di sradicare
il dibattito dalla sterile contrapposizione fra abrogazione e modifica della
legge 30. L'ottimismo della volontà e la mia
collocazione in questo governo mi fanno sperare che la vicenda possa prendere
la seconda direzione.
Ma come? Intanto si può dire cosa non bisogna fare. Non ci
si può attendere la soluzione generale del problema della precarietà
dall'ispettorato del lavoro, pur restando sacrosanta l'ispezione all'Atesia ed
inappuntabili gli esiti cui è giunta (e perciò da applicare con l'assunzione a
tempo indeterminato dei lavoratori a progetto, come conviene ad un lavoro che
ricalca nel campo dei servizi le peggiori modalità del fordismo). E' invece
tanto più urgente un'iniziativa legislativa da parte del governo e delle forze
di maggioranza. Né si può pretendere dalla famosa circolare del Ministero del
Lavoro ciò che essa non può dare, avendo molto piombo sulle ali. Come rivelò Ichino
sul Corriere della Sera essa si basa infatti su un testo elaborato e poi stoppato ai
tempi di Maroni. La sua filosofia è tutta interna alla legge 30, il cui lato
«migliore» può essere trovato nella divisione fra subordinati e
parasubordinati, per cui il massimo della pulizia sarebbe quello di concedere
il contratto a progetto solo a chi è effettivamente autonomo. Ma questa scelta
moltiplica gli imbrogli e i contenziosi, senza nessuna stabilità.
Torniamo allora a quanto scritto nel programma dell'Unione.
«Superare» la legge 30 non deve essere inteso come cancellare solo le forme più
precarizzanti e peraltro meno applicate (come il job
on call, o lo staff
leasing), lasciando inalterata la filosofia di
fondo, ma la definizione di un quadro legislativo basato su una nuova
definizione del lavoro dipendente. Si tratta precisamente di evitare le
celebrazioni ipocrite della irresistibile attrattiva del lavoro autonomo, come
del ritorno al mito della fabbrica fordista, la cui presunta bellezza mi è
sempre sfuggita.
Il modo concreto per farlo c'è e ce ne ha parlato Nanni
Alleva due giorni fa su questo giornale. Superare la legge 30, quindi tornare
alla centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, vuol dire
riscrivere buona parte delle norme che regolano il diritto e il mercato del
lavoro, puntando sull'individuazione di un unico contratto di lavoro dipendente
- entro il quale poi distinguere le varie figure a seconda del grado di
controllo cui sono sottoposte - fondato sul concetto di dipendenza
socio-economica dall'impresa. Per questa via si può giungere ad una effettiva
riunificazione del mondo del lavoro, stabilendo per la totalità dei lavoratori
alcuni diritti e tutele fondamentali. Tra questi almeno cinque mi sembrano
imprescindibili: il diritto costituzionale ad una giusta ed equa retribuzione
(il che può anche comportare la fissazione di un minimo salariale orario non
decurtabile); la continuità del reddito nei periodi di non lavoro; la pienezza
dei contributi pensionistici; la difesa contro l'arbitrarietà nei licenziamenti
e nella rescissione dei contratti; la libertà di organizzazione e di
rappresentanza sindacale.
L'assemblea sulla precarietà dell'8 luglio è stata occasione
di denuncia ed ha indetto un'importante scadenza di lotta. Bisogna arrivarci
con una proposta convincente e articolata. I tempi del Ministro del lavoro
appaiono troppo lenti, mentre gran parte della sorte e della credibilità del
governo e della maggioranza si fondano sui risultati nella lotta alla
precarietà. Ma nulla vieta ai movimenti e alla sinistra radicale di
«sollecitarlo», avanzando in tempi brevi una propria proposta. Le forze e le
intelligenze ci sono. Mettiamole al lavoro.
Il Manifesto – 26 agosto 2006