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[ Dicono di noi > Quei circoli sul Tevere - La Repubblica, martedì 08 mag 2007 ]

Accordo Armonizzazione 3/07/2009

Mobilità lunga e Accordi 19/02/2007

Proposta rsu per Almaviva Green

L'INCHIESTA / Chi comanda nelle città

Quei circoli sul Tevere
dove
la Capitale fa affari

 

di ALBERTO STATERA

 

Salinger e Baricco, il "Giovane Holden" e "L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin", Kennedy e l'Africa negletta, Bob Dylan e Fabrizio De Andrè, la Juventus "come Berlinguer": tutto si sa ormai dell'affabulante universo veltronico. Tranne l'astuta strategia che ha permesso al sindaco di Roma di avvolgere nel suo iperuranio di idee perfette non solo il ceto medio di sinistra, ma anche quel pezzo di società moderata, moderatissima, conservatrice, conservatricissima, che va sotto il nome di generone romano. Come veniva chiamato il ceto borghese vaticano ai tempi delle rissose nobiltà nere e bianche.

Dalla Borgata Finocchio ai Parioli, dal Tiburtino Terzo a Vigna Clara, dal Trastevere vero a quello degli attici superterrazzati, nessuno riesce a odiare Walter, la sua macchina da consenso "a - comunista" ed ecumenica sembra non perdere un colpo. Ed è in riva al Tevere, negli storici "Circoli Canottieri", reali o ex reali, che ha sperimentato la forza dell'abbrivio.

Oltre a tutto il resto, Veltroni adora la commedia all'italiana e - magari non lo ricorda - ma nel 1998 non si dev'essere perso un piccolo classico nel suo genere: "Simpatici e antipatici", regia di Christian De Sica, sceneggiatura dei fratelli Carlo e Enrico Vanzina, cast composto da Eva Grimaldi, Andrea Roncato, Alessandro Haber. Superbo cammeo, Gianfranco Funari nei panni di Cesare Previti, per due volte presidente del Circolo Canottieri Lazio, dove Stefania Ariosto raccontò di averlo visto consegnare al magistrato Renato Squillante, dopo una partita di calcetto, una busta gialla contenente denaro e richiamarlo a gran voce perché l'aveva lasciata incustodita: "A Renà, te stai a dimenticà questa! ".

E' passato un secolo dai tempi di Tangentopoli, quando anche il presidente del Circolo Canottieri Roma Franco Pesci, marito di Virna Lisi, costruttore e al tempo stesso vicepresidente dell'Inail, fu arrestato con l'accusa di tangenti uscenti e entranti, e il consocio canottiere Marco Squatriti, detto Squatriarcos, allora marito di Afef Jnifen, finì dentro per lo scandalo dell'Italsanità.

Anche i Circoli Canottieri più antichi e prestigiosi hanno fatto fatica a recuperere la crisi d'immagine che ingiustamente allora colpì tutti. Oggi la musica è diversa: richiamo alle origini antiche, sport d'eccellenza, agonismo, cultura, eticità, buoni sentimenti e soci onorari. Carlo Azeglio Ciampi, con Sean Connery e Alberto di Monaco, lo è del Canottieri Roma, considerato di destra, dove venerdì 25 maggio sarà alla cena sociale seduto al tavolo del presidente, il camiciaio-stilista Gianni Battistoni, e di Gianni Letta, che lì ha praticamente la seconda casa, quando non è ai pranzi superbipartisan di Maria Angiolillo, titolare del salotto dove corrono apposta da Milano Marco Tronchetti Provera, Bruno Ermolli e Francesco Micheli. Il salotto del Pincio che Roberto D'Agostino, massimo cultore dei riti del generone, definisce, nonostante la cucina, non patrimonio di Roma, ma "patrimonio dell'umanità".

Walter Veltroni, più di Ciampi, è ormai socio onorario di tutti i circoli che contano ed è colà che ha fatto le corvée per la presentazione dei suoi libri. Prima al Reale Circolo Canottieri Tevere Remo, il più antico di Roma, nato nel 1872 e oggi presieduto dal direttore centrale della Banca Antonveneta Luigi Barone, uomo di fiducia degli azionisti olandesi dell'Abn Amro: 1027 soci, tra cui il direttore generale della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni, Antonio Maccanico, Andrea Manzella, l'avvocato dello Stato Andrea Vessichelli, l'avvocato Franco Gianni, l'ex presidente della Corte dei Conti Giuseppe Carbone, Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche e il manager Mario Murri. Un cotè professional-giuridico e di grand commis nel quale prevalgono per numero i commercialisti. Poi presentazione del primo romanzo veltroniano "La scoperta dell'alba" al Circolo Canottieri Aniene, omaggiato all'unisono da Gianfranco Fini, Luca Cordero di Montezemolo e Gianni Letta.


E' qui, vicino alla confluenza tra Tevere e Aniene, chiamato nell'antichità Teverone, dove i due fiumi "inciuciano", come si dice a Roma, che Giovanni Malagò, detto affettuosamente "Megalò", figlio di una nipote dell'antico ministro democristiano Pietro Campilli, ex concessionario-principe della Bmw e ora di Ferrari e Maserati, ha fatto negli ultimi anni del Reale Circolo Canottieri Aniene, nato nel 1892 da una costola del Tevere Remo considerato allora troppo nero e papalino, la più formidabile concentrazione di upper class della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi dei ruoli e della ricchezza, il melting-pot perfetto di commercianti e professionisti, costruttori e alti burocrati, personaggi dello sport, dello spettacolo e imprenditori. Il moderatissimo terreno di gioco del veltronismo, che tende a cooptare e non a escludere proprio nel mondo più moderato.

Si narra che Cesare Romiti, nato a Roma, ma aduso alle sabaude abitudini torinesi, la prima volta che mise piede all'Aniene sia sia sentito apostrofare: "Ciao Cesare, come va?". E lui: "Scusi, non ci conosciamo, perché mi da del tu? ". Malagò, che conferma l'episodio, ne fa anche la morale: "Qui tutti si danno del tu per statuto, perché nessuno si deve sentire nessuno, il peso del rispettivo potere va lasciato fuori, è ammesso il cazzeggio più che il business, non siamo una lobby d'affari, ma una lobby dei rapporti umani".

D'altra parte come avrebbe fatto Romiti a negare il tu a consoci che rispondono ai nomi di Francesco Gaetano Caltagirone, l'uomo più liquido d'Italia, suocero di Pier Ferdinando Casini e, tra l'altro, editore del quotidiano romano "Il Messaggero", Luca Montezemolo, suo ex collaboratore, Luigi Abete, suo ex presidente in Confindustria. E poi i colleghi imprenditori Claudio e Pier Luigi Toti, Andrea Mondello, Alberto Tripi, Massimo Sarmi, Nerio Alessandri, Elio Catania, Duccio e Paolo Astaldi, Alessandro Benetton, Angelo Rizzoli, Francesco Trapani, Carlo Toto, Pietro Salini, Francesco Caltagirone Bellavista, gli armatori D'Amico, i De Simone delle acque minerali. E poi Tornatore, i fratelli Vanzina, Verdone, Ennio Morricone, Sinopoli, Zoff, Petrucci, Pescante, Panatta, Gabriele Ferzetti. E una spruzzata di politici, da Luca Danese, genero di Andreotti, a Piero Marrazzo, che ha rinnovato le concessioni regionali ai Circoli, da Publio Fiori al portavoce di An Andrea Ronchi e all'Udc Luigi Compagna, figlio del gentiluomo napoletano e repubblicano detto "Chinchino". Fino a 1.061 soci, numero bloccato, che ha fatto crescere il tempo della lista d'attesa a cinque anni.


Niente donne, ammesse solo se grandi campionesse di qualche specialità sportiva, nonostante la fama di antico tombeur des femmes del presidente, 25.000 euro d'iscrizione, contro i 5.000 degli altri, più 2.200 euro all'anno.

Per incontrare "nessuno", come vuole l'appassionato Malagò? Solo per il canottaggio, sport per pochi, la partitina a tennis e il Gim Rummy, il gioco di carte preferito da Andreotti, grande romanista e lettore indefesso dei necrologi del "Messaggero", vera, triste vetrina per capire le complesse interrelazioni del generone? O anche, per l'appunto, per il sistema di relazioni, per consentire a chi non è Romiti o Caltagirone di dare del tu magari a Luigi Scimia della Covip, piuttosto che al presidente del Tar Lino De Lise, a tanto potere e tanto denaro, con le relative ricadute? S'indigna Malagò: "Non business, non inciuci, non confondiamo l'Aniene con le serate dalla Angiolillo, dove io non sono invitato. Noi facciamo soprattutto sport".

Sport e business, sport e potere, non è poi la stessa cosa? Gli altri circoli accusano "Megalò" di spendere per comprare campioni, non più dilettantismo ma professionismo. Le sue ambizioni sportive sono grandi, si dice che l'obiettivo sia la presidenza del Coni, che l'ha già nominato direttore generale del Comitato promotore delle Olimpiadi di Roma del 2016, con presidente Gianni Letta. In aggiunta alla carica di presidente del Comitato organizzatore dei campionati di nuoto del 2009 che di affari ne ha già mossi non pochi. A Tor Vergata sta per nascere la cittadella del nuoto, un impianto polivalente da quindicimila posti, stadio, piscine, campi, palestre, alloggi. Un nuovo Foro Italico a ridosso della complanare Roma-Napoli.

 

Investimento 250 milioni attinti dai fondi per Roma capitale, appalti assegnati fuori gara e fuori delle ordinarie procedure urbanistiche.

Commissario straordinario Angelo Balducci, ex prandiniano, Francesco Gaetano Caltagirone, sempre lui, coordinatore del gruppo di costruttori che allinea Pierluigi Toti, con la Lamaro, Parnasi, Leonardo Caltagirone, Paola Santarelli e il CCC, il Consorzio cooperative di Bologna, una spruzzata rosso-emiliana sulla pattuglia romana dell'Aniene.

Tutto romano e targato Aniene anche il gruppo che si è aggiudicato la Linea D della metropolitana, quello di Paolo Bruno della Ferrocemento e della Condotte, sul quale pendono i ricorsi delle imprese escluse dall'appalto.

Aniene, Tevere Remo, Roma, Lazio, Il Circolo dove si allena Daniela Fini, oggi presieduto da Antonio Buccioni, l'imprenditore del Luna Park dell'Eur; poi Parioli Tennis Club, Tiro a Volo, dove si distraggono il commissario dell'Antitrust Antonio Catricalà e il commissario europeo Franco Frattini, Parco di Roma di Barbara Monrea; per il golf, Olgiata e Circolo dell'Acqua Santa, dove, in scarsa aura di santità, giocava il cardinale Paul Marcinkus, custode - si fa per dire - delle finanze vaticane. E poi i circoli ancora più su della nobiltà nera e bianca, la Caccia e gli Scacchi, a Palazzo Borghese e Palazzo Rondonini, dove ogni palla nera vale tre palle bianche, come verificarono personalmente gli esclusi Paul Getty ("E allora me lo compro", sibilò), Valentino Bompiani e Francesco Cossiga. Se non hai quattro quarti di nobiltà lì non entri, salvo poche decine di casi, come quelli di Luca Montezemolo, Lorenzo Pallesi, ex presidente dell'Ina, e Paolo Scaroni, presidente dell'Eni. O quello di don Luigi Ginami, il prete che parlava a Giovanni Paolo II, ma soprattutto all'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che con Cesare Geronzi, Cesare Romiti, Sergio Cragnotti, Bruno Vespa, Sandra Carraro e Paolo Cirino Pomicino partecipò nelle austere sale alla presentazione del suo libro "Segno il mio Re".

Quando il pm di Potenza Woodcock arrestò Vittorio Emanuele di Savoia, il Duca di Castel Garagnone Marchese don Giulio Patrizi di Ripacandida e il Marchese Paolo Patrizi Montoro Naro, presidenti delle nobili istituzioni, chiesero la sua espulsione da Caccia e Scacchi. A difenderlo si alzò soltanto il principe Carlo Giovannelli: "Chi tra noi non è mai andato con una prostituta?".

Dieci circoli di serie A, all'ingrosso diecimila soci, che con le famiglie fanno almeno quarantamila e con il modello italico che Guido Carli definiva "clientela e parentela" fanno un numero imprecisato. Ora un recente rapporto della Luiss sulle classi dirigenti, che naturalmente hanno a Roma gli elementi "apicali", come si dice in gergo, ha individuato tre gruppi elitari: una prima mappa ristretta che comprende circa 2.000 persone, una intermedia di 6.000 e una allargata di 17.000.

Dire che nei barconi sul Tevere, sui campi da tennis, nelle piscine e nei palazzi dei Circoli si aggira buona parte dell'èlite nazionale del potere e del denaro forse non è una bestemmia. Si tratta comunque di un bel bacino elettorale moderato e assai influente da catturare, che sarebbe una vera mano santa - secondo uno dei punti di vista - per il nascente Partito Democratico. Veltroni - chapeau - lo ha in buona parte intercettato, come possiamo testimoniare dopo qualche giorno trascorso tra biliardi, tavoli verdi e colazioni sociali. Perché, come dice Edmondo Berselli, Walter è diverso, "Walter non viene dalla scuola di partito delle Frattocchie. Walter ha la capacità straordinaria di esserci e di sparire, di impegnarsi e di eludere. Fateci caso, non suscita avversioni violente. Nessuno lo odia".

Anzi, imprevedibilmente in quel tratto che vede l'inciucio tra Tevere e Teverone, più di quelli che ci si aspetterebbe lo amano. Perché da noi, dove la concezione del potere è elitaria e privatistica, non meritocratica ma per cooptazione, come dalla notte dei tempi teorizza il vecchio maestro della sociologia Franco Ferrarotti, più che "la conoscenza" contano "le conoscenze".

 

La Repubblica – 8 maggio 2007

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