L'INCHIESTA / Chi comanda
nelle città
Quei circoli sul Tevere
dove la Capitale fa affari
di
ALBERTO STATERA
Salinger e Baricco, il "Giovane Holden" e
"L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin", Kennedy e l'Africa
negletta, Bob Dylan e Fabrizio De Andrè, la Juventus "come Berlinguer":
tutto si sa ormai dell'affabulante universo veltronico. Tranne l'astuta
strategia che ha permesso al sindaco di Roma di avvolgere nel suo iperuranio di
idee perfette non solo il ceto medio di sinistra, ma anche quel pezzo di
società moderata, moderatissima, conservatrice, conservatricissima, che va
sotto il nome di generone romano. Come veniva chiamato il ceto borghese
vaticano ai tempi delle rissose nobiltà nere e bianche.
Dalla Borgata Finocchio ai Parioli, dal Tiburtino Terzo a Vigna Clara, dal Trastevere
vero a quello degli attici superterrazzati, nessuno riesce a odiare Walter, la
sua macchina da consenso "a - comunista" ed ecumenica sembra non
perdere un colpo. Ed è in riva al Tevere, negli storici "Circoli Canottieri",
reali o ex reali, che ha sperimentato la forza dell'abbrivio.
Oltre a tutto il resto, Veltroni adora la commedia all'italiana e - magari non
lo ricorda - ma nel 1998 non si dev'essere perso un piccolo classico nel suo
genere: "Simpatici e antipatici", regia di Christian De Sica,
sceneggiatura dei fratelli Carlo e Enrico Vanzina, cast composto da Eva Grimaldi,
Andrea Roncato, Alessandro Haber. Superbo cammeo, Gianfranco Funari nei panni
di Cesare Previti, per due volte presidente del Circolo Canottieri Lazio, dove
Stefania Ariosto raccontò di averlo visto consegnare al magistrato Renato
Squillante, dopo una partita di calcetto, una busta gialla contenente denaro e
richiamarlo a gran voce perché l'aveva lasciata incustodita: "A Renà, te
stai a dimenticà questa! ".
E' passato un secolo dai tempi di Tangentopoli, quando anche
il presidente del Circolo Canottieri Roma Franco Pesci, marito di Virna Lisi,
costruttore e al tempo stesso vicepresidente dell'Inail, fu arrestato con
l'accusa di tangenti uscenti e entranti, e il consocio canottiere Marco Squatriti,
detto Squatriarcos, allora marito di Afef Jnifen, finì dentro per lo scandalo
dell'Italsanità.
Anche i Circoli Canottieri più antichi e prestigiosi hanno fatto fatica a recuperere
la crisi d'immagine che ingiustamente allora colpì tutti. Oggi la musica è
diversa: richiamo alle origini antiche, sport d'eccellenza, agonismo, cultura,
eticità, buoni sentimenti e soci onorari. Carlo Azeglio Ciampi, con Sean Connery
e Alberto di Monaco, lo è del Canottieri Roma, considerato di destra, dove
venerdì 25 maggio sarà alla cena sociale seduto al tavolo del presidente, il
camiciaio-stilista Gianni Battistoni, e di Gianni Letta, che lì ha praticamente
la seconda casa, quando non è ai pranzi superbipartisan di Maria Angiolillo,
titolare del salotto dove corrono apposta da Milano Marco Tronchetti Provera,
Bruno Ermolli e Francesco Micheli. Il salotto del Pincio che Roberto
D'Agostino, massimo cultore dei riti del generone, definisce, nonostante la
cucina, non patrimonio di Roma, ma "patrimonio dell'umanità".
Walter Veltroni, più di Ciampi, è ormai socio onorario di tutti i circoli che
contano ed è colà che ha fatto le corvée per la presentazione dei suoi libri.
Prima al Reale Circolo Canottieri Tevere Remo, il più antico di Roma, nato nel
1872 e oggi presieduto dal direttore centrale della Banca Antonveneta Luigi
Barone, uomo di fiducia degli azionisti olandesi dell'Abn Amro: 1027 soci, tra
cui il direttore generale della Banca d'Italia Fabrizio Saccomanni, Antonio Maccanico,
Andrea Manzella, l'avvocato dello Stato Andrea Vessichelli, l'avvocato Franco
Gianni, l'ex presidente della Corte dei Conti Giuseppe Carbone, Renzo Gattegna,
presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche e il manager Mario Murri. Un
cotè professional-giuridico e di grand commis nel quale prevalgono per numero i
commercialisti. Poi presentazione del primo romanzo veltroniano "La
scoperta dell'alba" al Circolo Canottieri Aniene, omaggiato all'unisono da
Gianfranco Fini, Luca Cordero di Montezemolo e Gianni Letta.
E' qui, vicino alla confluenza tra Tevere e Aniene, chiamato nell'antichità Teverone,
dove i due fiumi "inciuciano", come si dice a Roma, che Giovanni Malagò,
detto affettuosamente "Megalò", figlio di una nipote dell'antico
ministro democristiano Pietro Campilli, ex concessionario-principe della Bmw e
ora di Ferrari e Maserati, ha fatto negli ultimi anni del Reale Circolo
Canottieri Aniene, nato nel 1892 da una costola del Tevere Remo considerato
allora troppo nero e papalino, la più formidabile concentrazione di upper class
della capitale. Una sorta di stanza di compensazione dei poteri borghesi dei
ruoli e della ricchezza, il melting-pot perfetto di commercianti e
professionisti, costruttori e alti burocrati, personaggi dello sport, dello spettacolo
e imprenditori. Il moderatissimo terreno di gioco del veltronismo, che tende a
cooptare e non a escludere proprio nel mondo più moderato.
Si narra che Cesare Romiti, nato a Roma, ma aduso alle sabaude abitudini
torinesi, la prima volta che mise piede all'Aniene sia sia sentito apostrofare:
"Ciao Cesare, come va?". E lui: "Scusi, non ci conosciamo,
perché mi da del tu? ". Malagò, che conferma l'episodio, ne fa anche la
morale: "Qui tutti si danno del tu per statuto, perché nessuno si deve
sentire nessuno, il peso del rispettivo potere va lasciato fuori, è ammesso il cazzeggio
più che il business, non siamo una lobby d'affari, ma una lobby dei rapporti
umani".
D'altra parte come avrebbe fatto Romiti a negare il tu a consoci che rispondono
ai nomi di Francesco Gaetano Caltagirone, l'uomo più liquido d'Italia, suocero
di Pier Ferdinando Casini e, tra l'altro, editore del quotidiano romano
"Il Messaggero", Luca Montezemolo, suo ex collaboratore, Luigi Abete,
suo ex presidente in Confindustria. E poi i colleghi imprenditori Claudio e
Pier Luigi Toti, Andrea Mondello, Alberto Tripi, Massimo Sarmi, Nerio Alessandri,
Elio Catania, Duccio e Paolo Astaldi, Alessandro Benetton, Angelo Rizzoli,
Francesco Trapani, Carlo Toto, Pietro Salini, Francesco Caltagirone Bellavista,
gli armatori D'Amico, i De Simone delle acque minerali. E poi Tornatore, i
fratelli Vanzina, Verdone, Ennio Morricone, Sinopoli, Zoff, Petrucci, Pescante,
Panatta, Gabriele Ferzetti. E una spruzzata di politici, da Luca Danese, genero
di Andreotti, a Piero Marrazzo, che ha rinnovato le concessioni regionali ai
Circoli, da Publio Fiori al portavoce di An Andrea Ronchi e all'Udc Luigi
Compagna, figlio del gentiluomo napoletano e repubblicano detto
"Chinchino". Fino a 1.061 soci, numero bloccato, che ha fatto
crescere il tempo della lista d'attesa a cinque anni.
Niente donne, ammesse solo se grandi campionesse di qualche specialità
sportiva, nonostante la fama di antico tombeur des femmes del presidente,
25.000 euro d'iscrizione, contro i 5.000 degli altri, più 2.200 euro all'anno.
Per incontrare "nessuno", come vuole l'appassionato Malagò? Solo per
il canottaggio, sport per pochi, la partitina a tennis e il Gim Rummy, il gioco
di carte preferito da Andreotti, grande romanista e lettore indefesso dei
necrologi del "Messaggero", vera, triste vetrina per capire le
complesse interrelazioni del generone? O anche, per l'appunto, per il sistema
di relazioni, per consentire a chi non è Romiti o Caltagirone di dare del tu
magari a Luigi Scimia della Covip, piuttosto che al presidente del Tar Lino De
Lise, a tanto potere e tanto denaro, con le relative ricadute? S'indigna Malagò:
"Non business, non inciuci, non confondiamo l'Aniene con le serate dalla
Angiolillo, dove io non sono invitato. Noi facciamo soprattutto sport".
Sport e business, sport e potere, non è poi la stessa cosa? Gli altri circoli
accusano "Megalò" di spendere per comprare campioni, non più
dilettantismo ma professionismo. Le sue ambizioni sportive sono grandi, si dice
che l'obiettivo sia la presidenza del Coni, che l'ha già nominato direttore
generale del Comitato promotore delle Olimpiadi di Roma del 2016, con
presidente Gianni Letta. In aggiunta alla carica di presidente del Comitato
organizzatore dei campionati di nuoto del 2009 che di affari ne ha già mossi
non pochi. A Tor Vergata sta per nascere la cittadella del nuoto, un impianto
polivalente da quindicimila posti, stadio, piscine, campi, palestre, alloggi.
Un nuovo Foro Italico a ridosso della complanare Roma-Napoli.
Investimento 250 milioni attinti dai fondi per Roma
capitale, appalti assegnati fuori gara e fuori delle ordinarie procedure
urbanistiche.
Commissario straordinario Angelo Balducci, ex prandiniano, Francesco Gaetano Caltagirone,
sempre lui, coordinatore del gruppo di costruttori che allinea Pierluigi Toti,
con la Lamaro, Parnasi, Leonardo Caltagirone, Paola Santarelli e il CCC, il
Consorzio cooperative di Bologna, una spruzzata rosso-emiliana sulla pattuglia
romana dell'Aniene.
Tutto romano e targato Aniene anche il gruppo che si è aggiudicato la Linea D della metropolitana, quello di Paolo Bruno della Ferrocemento e della Condotte, sul
quale pendono i ricorsi delle imprese escluse dall'appalto.
Aniene, Tevere Remo, Roma, Lazio, Il Circolo dove si allena Daniela Fini, oggi
presieduto da Antonio Buccioni, l'imprenditore del Luna Park dell'Eur; poi Parioli
Tennis Club, Tiro a Volo, dove si distraggono il commissario dell'Antitrust
Antonio Catricalà e il commissario europeo Franco Frattini, Parco di Roma di
Barbara Monrea; per il golf, Olgiata e Circolo dell'Acqua Santa, dove, in
scarsa aura di santità, giocava il cardinale Paul Marcinkus, custode - si fa
per dire - delle finanze vaticane. E poi i circoli ancora più su della nobiltà
nera e bianca, la Caccia e gli Scacchi, a Palazzo Borghese e Palazzo Rondonini,
dove ogni palla nera vale tre palle bianche, come verificarono personalmente
gli esclusi Paul Getty ("E allora me lo compro", sibilò), Valentino Bompiani
e Francesco Cossiga. Se non hai quattro quarti di nobiltà lì non entri, salvo
poche decine di casi, come quelli di Luca Montezemolo, Lorenzo Pallesi, ex
presidente dell'Ina, e Paolo Scaroni, presidente dell'Eni. O quello di don
Luigi Ginami, il prete che parlava a Giovanni Paolo II, ma soprattutto all'ex
governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, che con Cesare Geronzi, Cesare
Romiti, Sergio Cragnotti, Bruno Vespa, Sandra Carraro e Paolo Cirino Pomicino
partecipò nelle austere sale alla presentazione del suo libro "Segno il
mio Re".
Quando il pm di Potenza Woodcock arrestò Vittorio Emanuele di Savoia, il Duca
di Castel Garagnone Marchese don Giulio Patrizi di Ripacandida e il Marchese
Paolo Patrizi Montoro Naro, presidenti delle nobili istituzioni, chiesero la
sua espulsione da Caccia e Scacchi. A difenderlo si alzò soltanto il principe
Carlo Giovannelli: "Chi tra noi non è mai andato con una
prostituta?".
Dieci circoli di serie A, all'ingrosso diecimila soci, che con le famiglie
fanno almeno quarantamila e con il modello italico che Guido Carli definiva "clientela
e parentela" fanno un numero imprecisato. Ora un recente rapporto della Luiss
sulle classi dirigenti, che naturalmente hanno a Roma gli elementi
"apicali", come si dice in gergo, ha individuato tre gruppi elitari:
una prima mappa ristretta che comprende circa 2.000 persone, una intermedia di
6.000 e una allargata di 17.000.
Dire che nei barconi sul Tevere, sui campi da tennis, nelle piscine e nei
palazzi dei Circoli si aggira buona parte dell'èlite nazionale del potere e del
denaro forse non è una bestemmia. Si tratta comunque di un bel bacino
elettorale moderato e assai influente da catturare, che sarebbe una vera mano
santa - secondo uno dei punti di vista - per il nascente Partito Democratico. Veltroni
- chapeau - lo ha in buona parte intercettato, come possiamo testimoniare dopo
qualche giorno trascorso tra biliardi, tavoli verdi e colazioni sociali.
Perché, come dice Edmondo Berselli, Walter è diverso, "Walter non viene
dalla scuola di partito delle Frattocchie. Walter ha la capacità straordinaria
di esserci e di sparire, di impegnarsi e di eludere. Fateci caso, non suscita
avversioni violente. Nessuno lo odia".
Anzi, imprevedibilmente in quel tratto che vede l'inciucio tra Tevere e Teverone,
più di quelli che ci si aspetterebbe lo amano. Perché da noi, dove la
concezione del potere è elitaria e privatistica, non meritocratica ma per cooptazione,
come dalla notte dei tempi teorizza il vecchio maestro della sociologia Franco Ferrarotti,
più che "la conoscenza" contano "le conoscenze".
La Repubblica – 8 maggio 2007