Call
center: che a pagare siano anche i padroni
Marina Biggero, Domenico Teramo (Cobas del Lavoro privato – telecomunicazioni)
Recentemente su alcuni giornali, Assocontact ha
pubblicato una manchette «padronale» nella quale annuncia che i «call center
italiani ... si impegnano a trasformare i contratti di collaborazione inbound
in assunzioni» e chiede, «in questo tempo di regole e di impegni», alle aziende
committenti di accompagnarla «in questo nuovo percorso».
L'ammissione è evidente: per oltre dieci anni i padroni dei call center, primi
responsabili delle condizioni di assoluta precarietà e sfruttamento di
centinaia di migliaia di addetti nel settore (ben sapendo quanto il loro lavoro
fosse subordinato «senza se e senza ma», in inbound quanto in outbound), hanno
deliberatamente agito senza rispettare regole e impegni; nemmeno quelle poche
dettate dalla legge 30.
Certo, tale impunità ha potuto contare sui favori dei diversi governi «amici»
che, pur di non «scorgere» nella catena delle telecomunicazioni dei call
center, una lineare quanto anche classicamente taylorista subordinazione del
lavoro, si sono sempre tappati occhi, orecchie e bocche!
E' bene ricordare come solo grazie alle mobilitazioni e agli scioperi delle
lavoratrici e dei lavoratori autorganizzati dal/nel Collettivo Precari Atesia, nonchè
all'esito ispettivo dell'Ufficio provinciale del lavoro di Roma, è stato
finalmente presentato, parzialmente, il conto per tutti gli abusi commessi in Atesia
- da Telecom prima e successivamente dal Gruppo Cos - e, più in generale, in
tutti i call center italiani, dove i diversi padroni avevano fatto
dell'illegalità e dell'evasione contributiva una scelta strategica, privando
migliaia di operatori e di operatrici di tutti i loro diritti contrattuali ed
economici e realizzando una pesantissima evasione contributiva ai danni delle
casse dell'Inps.
Finalmente sembrava fosse giunto il momento in cui alcuni diritti potessero
essere riconosciuti, ma subito è stato richiesto da parte dei datori di lavoro
un intervento del governo che neutralizzasse il verdetto ispettivo. Ed ecco
che, grazie al supporto dall'assai potente lobby affaristica delle
telecomunicazioni, si inserisce nella legge finanziaria l'articolo 178,
«coronato» dall'«avviso comune» siglato tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, che
stabilisce il condono totale a favore dei padroni per l'uso illegale dei
contratti a progetto, l'amnistia sui reati penali, finanziari, del lavoro e
amministrativi commessi in questi anni; e per i lavoratori e le lavoratrici la
rinuncia ai diritti acquisiti e al salario pregresso in cambio di contratti a
tempo indeterminato o determinato, anche part-time. In sostanza, i lavoratori e
le lavoratrici devono continuare a pagare anche per veder «rispettati» i propri
diritti.
Questa è la strada intrapresa negli accordi di «stabilizzazione» siglati negli
ultimi mesi: da quello per i «famosissimi» precari di Atesia a quello dei
precari di Telegate, che prevedono contratti a tempo indeterminato, ma part
time, con stipendi bassissimi e flessibilità di prestazione malamente contenuta
dalle «fasce orarie»; dove, come nel caso dell'accordo siglato alla Telegate di
Guasticce, viene introdotta la clausola del comando settimanale dei turni e la
flessibilità d'orari prevista dal Ccnl dei grafici. Non solo sono stati siglati
accordi nei «piccoli» e «medi» call center, che prevedono l'assunzione a tempo
determinato, a part-time che pesanti clausole di flessibilità dell'orario per
tutti e tutte.
Ora, come se tutto ciò non bastasse (a lorsignori l'appetito vien mangiando) Assocontact
alza il tiro: oltre a ribadire che non ha nessuna intenzione di stabilizzare
gli operatori outbound, si dichiara impegnata (e quindi non obbligata) dalle
regole solo se ognuno farà la «propria parte ... in questo oneroso processo di
cambiamento». Costamagna, presidente di Assocontact, chiede esplicitamente che
i lavoratori siano assunti con un livello contrattuale inferiore - il 2° - e
l'applicazione anche per i part-time dell'organizzazione dell'orario «multiperiodo»,
previsto dal pessimo Ccnl delle telecomunicazioni per i colleghi full-time.
E se qualcuno ancora si ostina a chiamare tutto ciò «stabilizzazione», noi
ribadiamo che - anziché cancellare la precarietà nei call center - con questa
«contrattazione» si sta scegliendo di stabilizzare gli alti profitti dei loro
padroni e le condizioni di povertà/precarietà di chi ci lavora.
Il manifesto – 1 aprile 2007