Da Omnia a Datel,
ecco i call center «cattivi»
«Si stanno sottraendo alle
stabilizzazioni per mantenere migliaia di lavoratori precari». Con loro Transcom,
4You, Call&Call. Denuncia Cgil
Antonio Sciotto
Quasi tutti i call center sono stati, in questi anni, «cattivi»
per definizione, e questo i lettori del manifesto lo sanno: luoghi dove la
precarietà ha proliferato senza argini. Oggi si sta ponendo una soluzione, con
alcuni limiti: la finanziaria ha dato il via alle stabilizzazioni, offrendo il
tempo indeterminato come sbocco, ma purtroppo in molti casi - la Cos è l'esempio più
eclatante - i lavoratori si ritrovano con part time di sole 20 ore settimanali
e 550 euro netti al mese, aprendosi un problema di tenuta salariale e
previdenziale. Inoltre, devono firmare una conciliazione che porta alla
rinuncia dell'intero salario pregresso. Ma almeno hanno il tempo indeterminato.
Ci sono call center che invece non vogliono concedere neppure quello, che fanno
i «furbetti del telefonino», così li definisce Alessandro Genovesi, segretario
nazionale della Slc Cgil: tanti gruppi che si stanno sottraendo alla
stabilizzazione. In tre modi.
«Il primo - spiega il sindacalista - è il gruppo dei più piccoli, con 30-40
operatori: non rispondono alle nostre lettere o spostano le sedi per non farsi
reperire. Sappiano che non aspetteremo il 30 aprile, ultima data per le
stabilizzazioni previste dalla finanziaria: partiremo subito con scioperi e
ispezioni».
Al secondo gruppo appartengono aziende più grosse: «Omnia Network, con diverse
migliaia di cocoprò in tutta Italia, Transcom, 800 precari solo in Puglia, Call&Call,
12 sedi nel paese e un migliaio di lavoratori: la loro tattica è quella di
"disarticolare i tavoli", evitando il confronto nazionale e trattando
solo nelle sedi locali. Inoltre puntano a un'interpretazione che tradisce la
"circolare Damiano", in quanto per loro qualsiasi outbound, ovvero il
lavoratore che fa le telefonate, può essere a progetto. Al contrario, per il
progetto, secondo la circolare e l'avviso comune devono esserci le 7 condizioni
minime: autonomia nei tempi, nessuna gerarchia, tecnologia che esclude l'inbound.
E a dire il vero noi finora questa autonomia non l'abbiamo mai incontrata. Ecco
che questi gruppi spostano fittiziamente centinaia di inbound verso l'outbound
per sottrarsi alla stabilizzazione».
Il terzo gruppo cerca di aggirare i contratti: «Ne fa parte la calabrese Datel/Telic
di Abramo: 2 mila cocoprò che vorrebbero assumere in apprendistato o
inserimento, contratti inadatti a chi lavora già da anni al call center. C'è
poi la 4You, un migliaio di operatori, che chiede deroghe al contratto
nazionale su livelli e orari». Al «Doblone» di Brescia hanno addirittura
firmato un contratto separato con la Cisl.
La Cgil
manda un messaggio a queste aziende: «Vengano allo scoperto, è inutile
nascondersi: se non verranno firmate stabilizzazioni eque, dopo Pasqua si
comincia a ballare - annuncia Genovesi - Scioperi, volantinaggi, ispezioni.
Siamo pronti a realizzare 100 Atesie».
Si pone infine un problema politico con Confindustria: «Molte di queste aziende
sono firmatarie dell'avviso comune, ma adesso non lo rispettano: se credono di
poter continuare a fare dumping si sbagliano. L'intero settore si deve
responsabilizzare, insieme ai committenti: gruppi come Telecom, Wind, le grandi
banche e carte di credito, le pubbliche amministrazioni. Raggiungendo un costo
del lavoro omogeneo e puntando sulla qualità piuttosto che sui risparmi».
Fino a oggi sarebbero stati già stabilizzati 9 mila operatori (6300 Cos, 1800 Comdata,
800 Telegate, alcune centinaia Omnia Bari e Call&Call). Al sindacato
starebbero però «sfuggendo» almeno altri 7 mila lavoratori stabilizzabili (ma
il settore è ben più ampio e complesso, dato che vi lavorano 250 mila persone).
Il manifesto – 23 marzo 2007