La prima
volta in piazza del «precariato di stato»
Sciopero
e manifestazione nazionale a Roma degli «instabili» della pubblica
amministrazione. 35.000 persone al corteo promosso dalle Cub-RdB
Francesco Piccioni - Roma
Eccoli qui i precari in carne e ossa. Quelli che non corrispondono alle
analisi sociologiche fatte in loro nome e che ti sbattono in faccia
all'improvviso una condizione invivibile.
E' il primo sciopero
nazionale dei precari della pubblica amministrazione. Ed è riuscito «al di là
di ogni più rosea previsione», spiega ancora emozionato Pierpaolo Leonardi,
coordinatore nazionale della Cub-RdB, il sindacato di base che l'ha
organizzato. Per la manifestazione a Roma «ci aspettavamo un 15.000 persone, ma
ne sono arrivate più del doppio». La Cub parla di 35.000
partecipanti al corteo. E il colpo d'occhio di chi è allenato ai cortei vede
che la realtà non è distante da questa cifra.
Gli striscioni distribuiti
alla partenza da un grande tir che manda musica «militante» («ti lamenti, ma
che ti lamenti, pigghia lu bastoni e tira fori li denti...»), sono tutti contro
il «lavoro nero» e «il precariato di stato». Alla fine il corteo si ferma sotto
il ministero della funzione pubblica e tre delegazioni partono per parlare con
il ministro Nicolais e due sottosegretari (uno alla giustizia e l'altro alla
sanità).
E allora vediamoli questi
precari, «invisibili» come persone, di cui tutti parlano come di una categoria
economica astratta. Ce ne sono in tutti i mestieri che tengono in piedi
l'apparato dello stato. Sono informatici, infermieri, impiegati, vigili del
fuoco, operai della forestale e lsu. E altro ancora. Gente di tutte le età, dai
venti ai sessant'anni, con livelli di istruzione differenti, lavoratori dotati
di braccia e di conoscenza. Ma inestricabilmente uniti da una condizione unica.
Nonostante abbiano anche forme contrattuali differenziatissime (a progetto, a
somministrazione, cococo, a tempo determinato, ecc), si sentono e si muovono
come una tribù unita. Tra loro anche diversi «fortunati» già assunti
stabilmente, o che lo sono stati negli ultimi mesi. Portano solidarietà ai
colleghi che da oggi non possono essere definiti «più deboli»: per quanto
precari, e quindi più ricattabili, hanno trovato la forza di lottare.
Sono una parte essenziale
della macchina statale, che da anni ha bloccato le assunzioni «per risanare il
bilancio», ma che poi - per funzionare - ha inserito personale senza diritti.
Seicentomila in tutto, stimano alla Cub. Comunque centinaia di migliaia,
ammettono le cifre ufficiali, incomplete. Assumerli, peraltro, non aggraverebbe
le finanze pubbliche: già ora vengono pagati dallo stato. Anzi: questo spende
in alcuni casi anche più di quanto non farebbe assumendoli. Lo spiega una
«somministrata» napoletana: «1.000 euro per lo stipendio, più altrettanti per
la società che mi ha mandato nell'ente locale».
Una posizione particolare ce
l'hanno i precari che lavorano per il fisco e il catasto. Se i loro uffici
funzionano bene, lo stato incassa di più. Ma la finanziaria appena presentata
rischia di complicare diverse cose. Il catasto, per esempio, dovrebbe passare
ai Comuni. Ma in quelli più piccoli non ci sono le competenze per gestirli; e
già ora ricorrono a società private. La polverizzazione localistica, poi,
compromette l'omogeneità e l'oggettività dei criteri con cui vengono decisi (e
dovranno essere rivisti) gli estimi immobiliari. Il ventilato «criterio di
mercato» (parametrare le rendite catastali agli effettivi valori di mercato)
potrebbe far impennare in modo esponenziale la tassazione Ici; con
incalcolabili ripercussioni sociali.
Caotica la situazione del
fisco, che rappresenta il cuore dello «stato moderno». Qui il Dipartimento alle
politiche fiscali dovrebbe controllare e coordinare un meccanismo composto di
società private (l'ex Sogei, la Sose, la Riscossioni spa, i Monopoli)
e pubbliche, per un totale di 60.000 addetti. La finanziaria prevede una legge
delega per promuovere una ristrutturazione dal profilo ancor aignoto. Ma in
quale direzione? Verso un'ulteriore «privatizzazione» o in quella opposta?
Viene alla mente - e lo citano - il servizio di riscossione in Sicilia ai tempi
dei fratelli Salvo.
Anche l'amministrazione
della giustizia solleva gravi interrogativi. Società private gestiscono
funzioni delicatissime, come il casellario giudiziario e persino le banche dati
di alcuni tribunali. Ufficialmente dovrebbero solo «supportare» tecnicamente
gli operatori del ministero, appositamente «formati». In realtà si trovano a
fare lo stesso lavoro, anche di inserimento e controllo dei dati. Pensi al
fatto che dei «privati» - quasi sempre con contratti a progetto, oppure «liberi
professionisti» a partita Iva - possono metter mano ai dati sensibili di ognuno
di noi e... ti viene in mente il business di Tavaroli e lo spionaggio Telecom.
Guardi tutta questa gente e
un po' ti tranquilizzi. E' bene che il problema della precarietà entri con
forza - e numeri - nella dialettica altrimenti «astratta» tra paese e governo.
E' insomma un bene che la prima manifestazione di piazza, di fatto «contro» questo
governo, abbia un segno così chiaramente di sinistra. C'è ancora spazio e tempo
per far mutare di segno le politiche sociali.
Il Manifesto – 7 ottobre 2006