Call center, la
mobilitazione a fine settembre. A novembre lo sciopero
di Manuele Bonaccorsi
Nei tanti call center d’Italia a fine settembre molti dei
250mila addetti aspettano il verdetto sul loro futuro: una lettera o un nome in
una bacheca che dica loro se da ottobre continueranno a “smistare chiamate”, se
il contratto precario scaduto sarà rinnovato. Proprio in quei giorni, il 29
settembre, il sindacalismo di base e i collettivi autorganizzati hanno indetto
la prima manifestazione nazionale del settore.
Quel verdetto è da sempre una minaccia che pesa sulle loro giornate lavorative,
permette all’azienda di “governarli”. Parasubordinati o subordinati è la stessa
cosa: nelle nuove catene di montaggio, che non producono pezzi ma clienti,
alzare la testa equivale alla certezza di un licenziamento. Per questo la
manifestazione nazionale del settore prevista a Roma con la netta richiesta di
contratti a tempo indeterminato per tutti assume il tono di una “sfida”. A
deciderla sono stati ieri i partecipanti a una folta assemblea che nel vecchio
quartiere operaio di Centocelle a Roma ha visto la presenza di circa un
centinaio di lavoratori di tutto il paese. Tra loro, alcune sigle del sindacato
di base (Rdb, Cobas, Slai Cobas) e i collettivi autorganizzati che in questi
anni hanno dato ai propri padroni non poco filo da torcere con tante piccole
vertenze. Fino a ieri battaglie deboli, difficili da vincere, perchè isolate.
Da domani, è questa la speranza di tutti, sarà un’altra storia.
Che siano finiti i bei tempi della precarietà vissuta come una condanna è ormai
chiaro. L’aria è cambiata: lo dimostra in maniera limpida il verbale degli
ispettori del lavoro che ha costretto Atesia (il più importante call center
della più grande impresa del settore) ad assumere a tempo indeterminato 3500 cocoprò
e a pagare i contributi pregressi ad altri 10 mila. Una vicenda che ha messo in
grande difficoltà anche il neoministro al lavoro Cesare Damiano, impegnato in
una sostanziale difesa della legge 30 con la propria bizantina distinzione tra outbound
(parasubordinato) e inbound (subordinato). Che il problema sia altro, che di
quella circolare nessuno può accontentarsi, i lavoratori lo dicono a chiare
lettere: «La precaietà non si sconfigge solo trasformando i cocoprò in
contratti subordinati», afferma Valerio del Collettivo Precari Atesia. «Se non
capissimo questo, domani rischieremmo di trovarci ancora precari, non più lap
ma apprendisti», aggiunge attaccando l’accordo dello scarso 11 aprile con cui Cgil
Cisl e Uil avevano ottenuto una debole diminuizione dei Lap sostituiti da 1100
contratti di apprendistato. Che il rischio di un nuovo accordo sia in campo lo
dimostrano le parole di giovedì del ministro Damiano che, negando l’evidenza,
affermava come la propria circolare non fosse stata smentita dagli ispettori, e
ricordava che la circolare «avrà un valore definitvo solo a seguito
dell’esperimento dei rimedi amministrativi e giudiziari previsti». Come dire,
più semplicemente, che se si trovasse un accordo in estremis Atesia potrebbe salvarsi
dal pagamento di una pesante multa. Mentre i contratti di inserimento e
apprendistato, favoriti da bassi contributi e dal sostegno dello stato, sono un
ottimo palliativo dei vecchi amati cocoprò.
Ma nell’assemblea di ieri non si parla solo di Atesia. C’è Donato, di Brititto
in provincia di Bari, che lavora nel call center di Inps e Inail, esternalizzato
a Poste Italiane, a sua volta dato in outsourcing a due società private.
Duecento cocoprò che continuano a lavorare nell’inbound: «Gli ispettori dovrebbero
visitare il loro stesso call center», afferma nell’ilarità dell’assemblea. Ma
c’è poco da ridere: quello dell’outsourcing rimane una delle armi ricattatorie
più affilate: accade nel call center InAction spostato a 37 kilometri di
distanza da Arese a Basilio (Mi); o nel B2Win, (proprietà dell’immobiliarista
romano Francesco Caltagirone) che gestisce il call center della Spa pubblica
romana Acea: qui 100 interinali sono stati da poco sostituiti da altrettanti
lavoratori a progetto. Lavora per la Voodafone anche Angela, telefonista a
tempo indeterminato: «La mia condizione di lavoro potrà sembrarvi paradiso-
dice ai suoi colleghi- eppure l’esternalizzazione è la minaccia con cui ci
costringono ad accettare ritmi sempre più stringenti». I lavoratori, infatti,
non parlano solo di contratti, ma anche di riduzione dell’orario di lavoro, di
una diversa organizzazione dei turni, del riconoscimento degli stress
psicofisici di una produzione ripetitiva e alienante, di orari part time
imposti per rendere più produttiva la forza lavoro. Non a caso, dunque, il
documento finale dellìassemblea inserirà tra le rivendicazioni anche il
riconoscimento del carattere usurante del lavoro precario, oltre al reintrego
dei mancati rinnovi per «motivi politici» e il blocco dei processi di esternalizzazione.
Tutti d’accordo, alla fine: anche storiche antipatie tra le diverse sigle
passano in secondo piano. Ci scambiano le mail e ci si dà appuntamento per il
29 settembre a Roma. Un passo in avanti verso uno sciopero nazionale dei call
center entro il mese di novembre.
Liberazione
del 10/09/2006