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Call center, il sindacato sia coerente - Il manifesto, giovedì 31 ago 2006
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Call
center, il sindacato sia coerente
Dopo circa una settimana di esternazioni, comunicati e dichiarazioni di
parte sindacale e datoriale il vero assente nella vicenda dei call center
sembra essere la politica. Le uniche dichiarazioni da parte governativa sono, ad oggi, quelle del
Ministro del lavoro che purtroppo sembra davvero voler affrontare il problema
del precariato in maniera insufficiente e marginale. Il centrosinistra sembra
aver già dimenticato le promesse fatte in campagna elettorale circa la radicale
svolta che urge nel mondo del lavoro: ridare centralità e dignità a chi lavora!
Più volte anzi in questi giorni si è parlato solo di leva fiscale senza
intervenire sulle regole del mercato del lavoro. Soprattutto il centrosinistra
ha, oggi più che mai, il compito di dire chiaramente cosa è o non è accettabile
per la dignità del lavoro delle persone. Occorre recuperare il valore sociale
del lavoro, concezione senza la quale ancora una volta non sarà chiaro agli
occhi dei lavoratori la differenza fra governi di centro destra e governi di
centro sinistra. Peggio ancora, in questi giorni il Ministro del lavoro ha fatto
dichiarazioni di continuità, al punto che nei giorni passati l'ex ministro del
governo di centrodestra Maroni si è sentito in dovere di rivendicare la
paternità della circolare. Meglio ancora poi l'editorialista del Sole 24 Ore Michele Tiraboschi,
che sul quotidiano della Confindustria chiede assicurazioni al Ministero circa
il non stravolgimento della passata «riforma» del mercato del lavoro,
attaccandolo per giunta per il fatto di non essere riuscito a «tenere sotto
controllo» i propri servizi ispettivi nella vicenda di Atesia. Di non essere
stato quindi abbastanza di destra? Ma proprio perché la politica è latitante e incoerente, il Sindacato
dovrebbe fare uno sforzo in più. Si dovrà essere infatti coerenti con la
richiesta di superare la legge 30 nei fatti e non solo nelle parole, dando
diritti e tutele a tutti i lavoratori, a prescindere dalla durata e dalla forma
del loro contratto. Il caso di Atesia e del settore dei call center è il metro per misurare
ciò che il Governo farà sul tema della precarietà. Perciò non ha senso oggi per
il sindacato continuare ad arroccarsi nella difesa di posizioni errate ieri e
insensate oggi (accordo di aprile 2006), dopo l'accertamento da parte ispettiva
che il lavoro in quel call center era ed è -senza ambiguità- lavoro
subordinato. Si dovrebbe invece usare come punto di riferimento non la
circolare quindi, ma il verbale degli ispettori di Atesia, che dà al sindacato
la forza per rivendicare diritti e tutele per tutti gli altri lavoratori del
settore. Il Sindacato ha l'obbligo di ribadire chiaramente la centralità del
lavoro subordinato come normale forma di impiego nei call center e in tutte
quelle attività produttive che nulla hanno a che vedere con la richiamata
«autonomia». Che autonomia ha un collaboratore che deve vendere 20 segreterie
telefoniche o fare 20 interviste al giorno per assicurarsi una giornata minima
di retribuzione? Perché il fatto di essere sottoposti a un risultato deve
santificare il fatto che si è precari? Il contrario semmai. Il rischio d'impresa deve tornare a essere in capo alle aziende e non può essere scaricato ancora una volta sui lavoratori abbassando il costo del lavoro. Non si può più accettare di condannare centinaia di migliaia di operatori telefonici alla precarietà sociale e professionale.
Il Manifesto – 31 agosto 2006 |
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