L'INTERVENTO
«Il sindacato fa i
conti con la realtà»
EMILIO MICELI (Segretario generale Slc Cgil)
NICOLETTA
ROCCHI (Segretario
confederale Cgil)
Se ci è
permesso, vorremmo fare delle osservazioni all'articolo di Antonio Sciotto
(pubblicato sul manifesto di ieri) in merito all'accordo di Atesia, perché il dibattito possa
nutrirsi di contributi e di punti di vista diversi, comunque utili in una
materia così delicata e spinosa come quella che ruota attorno alla legge 30.
La prima osservazione, ma in fondo è una affermazione, è
questa: il sindacato non può attendere la politica, non può sottomettersi alla
politica, non può dipendere dalla politica. Nel caso specifico ciò significa
che non è possibile aspettare le decisioni politiche e di governo relativamente
alla legge 30, ma sia necessario, senza che alcun veto, ci pare anche dal manifesto, possa ostacolare il
tentativo di provare sempre a ridurre l'area della precarietà, in questo caso
quella dei lavoratori a progetto, trasformando, è il caso di Atesia, circa 2000
contratti precari ed autonomi in contratti di lavoro subordinato e regolati dal
contratto collettivo di lavoro. «Tanto peggio tanto meglio!». Vecchia
suggestione che pure ha albergato nel movimento operaio e che è stata foriera
di non poche sconfitte.
Insomma, dovremmo essere più antagonisti che sindacalisti;
più «militanti politici» che agenti contrattuali. Forse, alla fine, più
illusionisti che realisti! Ma un sindacato ha il dovere di tutelare, qui ed
ora, i lavoratori, e di combattere per affermare i diritti, civili e sociali. E
di avere coerenza! Fare le cose che dice, e questo è indispensabile se vuole
essere credibile. La
Cgil, già con
il suo congresso, ha chiesto al nuovo governo la cancellazione della legge 30;
e lo ha ribadito nel suo Comitato direttivo. Si tratta di decisioni
democraticamente assunte, di merito, che tutti siamo tenuti a rispettare. C'è
bisogno di una nuova disciplina del lavoro che nasca da un confronto preventivo
con le forze sociali, stavolta senza quella «conventio ad escludendum» che fu
la filosofia che portò al Patto per l'Italia prima ed alla legge 30 poi. Non
crediamo che appassioni il tema se il superamento di quella legge equivalga
alla sua cancellazione. Chi fa sindacato ha il dovere di guardare al prodotto
finito e giudicare quello. Dunque contrattazione e nuova legge che regga su una
filosofia diversa: questo è il punto.
Ad Atesia abbiamo sconfessato questi principi? Certo, non ci
dispiacerebbe affatto se il manifesto pubblicasse per intero quell'accordo perché questo ci
permetterebbe forse una discussione più pregnante sui contenuti, e fors'anche
qualche polemica in meno.
Atesia: che cos'è quest'azienda un giorno prima dell'accordo
e cos'è quest'azienda il giorno dopo?
Quella di cui discutiamo è letteralmente un'azienda fantasma
che sfugge ad ogni ulteriore definizione: circa 200 lavoratori subordinati e
circa 4000( avete letto bene!) lavoratori autonomi che vedranno scadere il loro
contratto a maggio. E' la sconfessione di ogni parametro razionale per definire
una fabbrica o un ufficio: è, se ci è consentito, la madre del concetto di
precarietà, è l'idea stessa della precarietà. Che si fa? Aspettiamo la
cancellazione della legge 30 e intanto gestiamo i licenziamenti? Facciamo che
la legge 30 cada rovinosamente sulla testa di migliaia di giovani? No,
l'abbiamo detto: siamo sindacalisti e non antagonisti. Si tenta l'accordo, con
queste condizioni di partenza. Cosa dice l'accordo? Che 1820 lavoratori
autonomi (a progetto) da maggio diventeranno lavoratori dipendenti, con un
contratto collettivo e dei diritti e solo un migliaio resteranno a progetto. E
saranno stabilizzati! Situazione ribaltata! Forse oggi comincia ad essere
un'azienda. Certo, gli apprendisti sono più dei lavoratori a tempo
indeterminato. Ma siamo ad Atesia, cari amici, nella fabbrica fantasma! Tanto
cara a Maroni ma non a noi. Sarà necessaria, oltre alla verifica con i
lavoratori, quella con le istituzioni. Dunque, infine: no alla legge 30 e sì al
miglioramento della vita lavorativa dei giovani. E' un dovere sindacale, ma
anche politico e civile.
Il
Manifesto – 15 aprile 2006