Home page
[ Dicono di noi > La sfida dentro Atesia: Uscire dal precariato - Il Manifesto, venerdì 16 set 2005 ]

Accordo Armonizzazione 3/07/2009

Mobilità lunga e Accordi 19/02/2007

Proposta rsu per Almaviva Green

il manifesto                                                        16 Settembre 2005

 

La sfida dentro Atesia: uscire dal precariato
Buona riuscita dello sciopero indetto dal «Collettivo precari» per la stabilizzazione del posto di lavoro. Si rompe l'isolamento mediatico e istituzionale: partiti ed enti locali solidarizzano
RED. EC.
ROMA
La precarietà è ultramoderna. Cerchi l'ingresso di Atesia tra i palazzi di vetro a specchio di CinecittàDue, sali e scendi scale, attraversi piani soprelevati sotto il cielo, con tante panchine e alberelli ben curati. Sembra il fondale di un film di Kassovitz (La heine). Puoi sbagliare strada, ma sempre in un «covo» di precariato finisci: Cos, Atesia, Telecontact, o anche il supermercato e i negozi del centro commerciale. Gli unici col contratto a tempo indeterminato, a prima vista, dovrebbero essere quelli delle banche aperte nel complesso. Quando trovi i ragazzi (qualcuno pure un po' attempato...) del «Collettivo precari» scopri che c'è anche qualcun altro con il «posto fisso»: un paio di agenti in borghese, sereni e tranquilli, che si informano sulle ragioni della manifestazione. Con l'inizio del primo turno i ragazzi entrano per convincere i colleghi a «prendersi una pausa». L'ipocrisia precaria qui ti fa essere formalmente un «lavoratore autonomo», in modo da non poter neppure fare ricorso (o causa legale) quando ti cacciano senza spiegazioni. Così anche lo sciopero ha un altro nome.

Mi spiegano che il primo turno è quello «più difficile», perché ci sono piccole porzioni di operatori che un contratto «vero» se lo sono portato dietro dalle aziende di provenienza, prima dell'«esternalizzazione» (il call center dell'Inpdap, per esempio), e se lo terranno finché dura (tre anni, in quel caso). Eppure escono in tanti, di tutte le età. Molti sono rimasti a casa, dicono. Vorrei entrare per vedere se le sale sono vuote, ma in portineria - dopo qualche minuto - mi fanno rispondere che «all'ufficio comunicazione non c'è nessuno al momento che possa riceverla o accompagnarla». A suo modo, è una risposta.

Perché a una certa età si viene a lavorare in un posto come questo? «Perché non si trova nulla» mi risponde una signora sui 50, «uno stipendio non basta e bisogna integrare». Un'altra viene «da 25 anni passati in due società multinazionali. Oltre i 40, si trova solo questo. Dopo la cassa integrazione, se ti hanno licenziato, dove vai? Solo al call center». O «al pony express», aggiunge un altro. Una signora disegna un quadro familiare illuminante: «anche mio figlio piccolo lavora qui con me; l'altro si è sistemato, sta in un corpo militare». Pochi, i «posti fissi», pare.

Si improvvisa un'assemblea, intervengono lavoratori di altri call center, ma anche di Telecom. Arrivano alcuni militanti di Riforndazione, l'assessore regionale al lavoro, Alessandra Tibaldi. Sono presenze importanti, perché rompono - insieme ad alcune interrogazioni parlamentari (Alfonso Gianni, Gabriella Pistone) - l'accerchiamento mediatico intorno a questa lotta, che si contrappone ruvidamente alle soluzioni fin qui date con l'accordo tra sindacati e azienda; ma che ha confermato in pieno la logica e la condizione precaria, sostituendo i contratti di «inserimento», «somministrazione» o, peggio, «apprendistato» ai vecchi e ormai illegali co.co.co. che scadono il 30 settembre.

Il punto del contendere è tutto qui: nuove forme di precarietà, nello schema della «legge 30», oppure la «stabilizzazione» del lavoro, con il contratto a tempo indeterminato, sia pure in «tempi ragionevoli»? La Tibaldi parla di «degenerazione dei rapporti sociali che chiama la responsabilità delle istituzioni», e rivela che il suo ufficio è ormai giorno e notte il terminale di situazioni tutte uguali: esternalizzazioni, chiusure, precarietà di ogni genere. Soprattutto a Fiumicino, dove stanno smantellando rapidamente e senza alcun ammortizzatore sociale tutte le strutture dell'indotto aeroportuale. «Bisogna discutere con Atesia e individuare un percorso di stabilizzazione certo», partendo dal «presupposto del reintegro dei 4 licenziati» dopo lo sciopero di giugno e un'assemblea a luglio.

E' chiaro che a livello delle istituzioni territoriali qualcosa sta cambiando: su di loro si scaricano tensioni sociali cui non possono spesso dar risposta, se non altro per ragioni di bilancio. Masse di soggetti «fragili», esposti alle intemperie del mercato del lavoro, dei servizi essenziali insufficienti (il problema della casa, per queste figure, è spesso irrisolvibile).

Ma è evidente anche la fatica improba che si assume chi cerca di organizzare i lavoratori precari. Qui la tocchi con mano. I dipendenti (pardon..) hanno un turn over elevatissimo, anche se qualcuno lavora qui da oltre 10 anni; così come anche le «campagne» (il lavoro concreto derivante dalle commesse dei clienti di Atesia) e gli orari di lavoro. E' un continuo «sensibilizzare» persone che poi se ne vanno schifate o perché trovano di meglio. O che hanno paura. E' il cuore informatico di questo tipo di impresa a rendere possibile un'organizzazione del lavoro parcellizzata fino all'individualizzazione senza però mai smarrire il filo del comando, del controllo ad personam, in relazione agli obiettivi produttivi. E l'individualizzazione minimizza anche le opportunità dell'organizzazione collettiva, sindacale. Un tipo di impresa senza alcuna «responsabilità sociale», cui interessa solo spremerti un tot di lavoro e poi stop. Fine, fuori.

Fuori si fermano quelli del secondo turno, e il piazzaletto davanti all'ingresso si riempie presto. Sono di più del mattino, e meno disomogenei. La lotta prosegue, l'azienda tace, le istituzioni locali si offrono per la mediazione. Non finirà qui, non è una fiammata. Fuori, su via Lamaro, dall'altra parte della strada, un altro volto della precarietà moderna: giovani palestrati, ragazze inguainate, anziani impomatati. Stanno seducentemente in fila sotto il sole. Attendono il loro turno per un «provino» in una telefiction di Mediaset.

Ultim'ora:


Tutto il contenuto del sito è opera di RSU Almaviva. Contattateci se volete prelevare del materiale.
Idea grafica e realizzazione tecnica a cura di Gianni Valenza.