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[ Dicono di noi > Parte da Atesia la rivolta dei super precari - Il Manifesto, venerdì 09 set 2005 ]

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il manifesto                                     09 Settembre 2005

 

Parte da Atesia la rivolta dei super precari
Tutele per tutti Primo sciopero nazionale Cos, il più grosso gruppo di call center del paese. Uniti su una stessa piattaforma dipendenti e cococò. Contratti a tempo indeterminato, basta con gli appalti al massimo ribasso. La Cgil: una vertenza simbolica. In campo anche i Ds. Il Prc: nuove leggi sul lavoro e una diversa politica industriale
ANTONIO SCIOTTO
ROMA
Atesia rialza la testa, e oggi si mobilita tutto il gruppo Cos. Scioperano i lavoratori del più importante gruppo di informatica e call center italiano, dipendenti e tempo indeterminato e precari. Si fermano dunque i telefonisti di Alicos, Inaction, Xcos - distribuiti da Milano a Palermo - e la più famosa Atesia, bubbone della precarietà con i suoi oltre 4 mila operatori senza diritti. Una vertenza che che sta raccogliendo la solidarietà dagli operatori dei gruppi «concorrenti», da Vodafone, a Wind, fino ai dipendenti della Finsiel, recente acquisto del gruppo Cos. E si mobilitano anche i partiti dell'Unione, da Rifondazione ai Ds, che annunciano il sostegno ai picchetti. La piattaforma da cui partono i lavoratori della Cos è interessante, anche perché mette in relazione - è una novità nel settore - le battaglie dei dipendenti con quelle dei precari. I punti principali sono: 1) Mettere al centro il lavoro dipendente a tempo indeterminato. 2) Stabilizzare il lavoro atipico, presente soprattutto in Atesia. 3) Aprire una contrattazione di secondo livello che contenga sia salario (tickets pasto, premio di risultato, aumento di maggiorazioni e straordinari), sia una risposta solida e solidale per l'assetto occupazionale. Il gruppo Cos conta in tutta Italia quasi 15 mila dipendenti, ma la gran parte (circa 9 mila, la metà dei quali nella romana Atesia) sono precari (a termine, cococò, a progetto). E' un'azienda che lavora in outsourcing non solo per grandi compagnie telefoniche (Telecom-Tim e Wind in testa) ma che ha importanti commesse anche da parte del settore pubblico (l'Istat, la Presidenza del consiglio, l'Acea, municipalizzata che fornisce acqua ed elettricità agli abitanti di Roma). E non va per nulla in perdita: il patron Alberto Tripi ha potuto vantare di recente un bell'aumento del fatturato, passando dai 90 milioni di euro del 2003 ai 210 milioni nel 2004.

Dalle dimensioni del «soggetto» ci si può rendere conto dell'importanza della vertenza. I dipendenti a tempo indeterminato, per cominciare, non se la passano troppo bene: 171 di loro sono stati messi in cassa integrazione (da ottobre a fine dicembre) per l'esaurimento di alcune commesse. Tra l'altro, tra gli «sfortunati» cassintegrati sono compresi anche tre delegati sindacali, uno dei quali - della Slc Cgil - trasferito nei settori a rischio proprio qualche giorno prima dell'annuncio della cassa. Ma chi se la passa peggio sono ovviamente i tantissimi precari.

Atesia è un far west: mentre, come si è detto, i dipendenti Cos vengono messi in cassa integrazione, dall'altro lato il call center-bubbone continua a infornare lavoratori atipici, sotto forma di contrattisti a progetto. L'ultima proposta fatta ai precari, che dovrebbe tradurre un accordo sindacale siglato dai confederali nel maggio 2004, è davvero misera: contratti di inserimento part time, con un impiego orario del 50% rispetto ai full time, ma ai quali si chiede in cambio la disponibilità 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. Come dire: vi offriamo solo 20 ore di lavoro a settimana, ma i turni li cambiamo quando vogliamo. Impedendo così ai part time di trovarsi un altro impiego per arrotondare il basso guadagno (si parla di meno di 500 euro lordi mensili, pochino per vivere a Roma).

Non contenta, la Cos chiede a chi accetterà una liberatoria sul pregresso: ovvero non potete chiedere nè a noi nè alla Telecom (vecchia proprietaria del call center) un risarcimento per i tanti anni di precariato ingiustificato. Una vera beffa, per lavoratori che sono precari anche da 14 anni e che non hanno mai potuto godere di un fisso in busta paga, nonostante siano inseriti in una vera e propria «catena di montaggio», con capi, gerarchie, regole e tempi precisi di svolgimento del lavoro.

Cos è anche passata alle maniere forti. Prima dell'estate, il licenziamento di 4 lavoratori appartenenti al «Colettivo precari», che aveva organizzato mobilitazioni abbastanza partecipate, con picchetti davanti al call center di Cinecittà. Qualche giorno fa, una lettera con cui si invitano i lavoratori a non partecipare allo sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil, dato il momento di difficoltà vissuto dall'azienda (?), e - soprattutto - la minaccia di passare a un altro contratto collettivo nazionale a partire dal 2006, «scaricando» Slc, Fistel e Uilcom come controparti.

Quello su cui premono i confederali, soprattutto la Cgil, è riportare tutti i lavoratori - anche in outsourcing - sotto un unico contratto, per ricomporre la filiera e assegnare responsabilità alle aziende e agli enti pubblici committenti: «Una battaglia che stiamo facendo nel contratto nazionale - spiega il segretario Slc Rosario Strazzullo - Ma la vertenza Cos da questo punto di vista è simbolica, perché si è perso qualsiasi controllo del precariato. Soprattutto, bisogna tornare a responsabilizzare aziende ed enti pubblici committenti: il meccanismo degli appalti al massimo ribasso è deleterio». Sulla vertenza si spende molto anche Rifondazione Comunista. Per Paolo Ferrero, responsabile lavoro, «quella dello sciopero Cos-Atesia è una data storica: è la prima volta che un gruppo di call center nazionale si muove per rivendicare il salario e l'occupazione stabile, uscendo dalla logica delle mobilitazioni locali». Inoltre, per Ferrero si pongono altri due problemi, più generali: «Per l'Unione, dato che il risultato concreto non potrà che influire sul programma e sui correttivi che porremo rispetto alla precarietà. Inoltre, porta a riflettere sulle privatizzazioni e le liberalizzazioni dei servizi, spesso realizzate a danno dell'utenza e dei lavoratori».

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